martedì 31 marzo 2015

UNA MAMMA SCRIVE: MIO FIGLIO HA PERSO L'ENTUSIASMO PER QUESTA SCUOLA, TROPPA TEORIA E POCA PRATICA

Pubblichiamo la bella lettera che la madre di un allievo (Luca è un nome di fantasia) ha scritto al dirigente di un istituto professionale toscano. La lettera costituisce un’altra inequivocabile conferma della necessità di rivedere urgentemente il quadro orario degli attuali istituti professionali “licealizzati”, ridando molto più spazio all’apprendimento nei laboratori e potenziando l’alternanza scuola-lavoro e l’apprendistato. 

Gentile Preside, 
scrivo questa lettera, sperando che possa porre la sua attenzione alla mia esperienza scolastica, vissuta quest’anno con mio figlio Luca, e possa apprendere veramente le difficoltà che vivono le famiglie e i propri figli in età adolescenziale, quindi già molto critica di suo. Non tutti si nasce con la predisposizione allo studio, non siamo tutti uguali, c’è anche chi è predisposto per la pratica. Mio figlio Luca ha cominciato l’anno con molto entusiasmo, convinto della scelta scolastica che aveva fatto. Ma con lo scorrere dei mesi, qualcosa è cambiato, si trovava sempre più in difficoltà, troppe materie da studiare, e di ciò che lo aveva reso più entusiasta, cioè la pratica, c’erano pochissime ore. I mesi passavano e l’interesse si spengeva sempre  più, diventava sempre più sofferente e  svogliato. Ho cercato in tutti i modi di fargli capire che con un po' di impegno e costanza ce l’avrebbe fatta, ma lui mi ripeteva che non ce la faceva. “Mamma quando sono lì mi sembra che mi scoppi la testa!!” Ai primi colloqui con i professori ho cominciato a preoccuparmi, dicevano il ragazzo studia poco. Cercavo di capire attraverso il dialogo con lui cosa non andava, quali fossero i suoi disagi, ma tutto era inutile, anzi la mattina partiva da casa per andare a scuola e poi non frequentava. Il problema si ingigantiva sempre più e i pensieri anche… e lui continuava ad ammettere il suo sbaglio, ma si giustificava dicendomi che studiare per lui è pesante e  voleva fare una scuola dove ci fosse più pratica, ma qui questa possibilità non esiste. Il problema più grosso è che ragazzi come mio figlio non vengono stimolati, anzi, in un età comunque molto critica come l’adolescenza tendono a mollare, a prendere la strada più facile perdendo così stima di se stessi. Allora io mi chiedo perché una scuola professionale, che dovrebbe preparare a livello anche lavorativo qualificato, non inserisca più ore di laboratorio. Magari metà delle ore potrebbero essere di studio per le loro basi, che sono molto importanti, e metà di pratica che li formeranno sulla loro professionalità lavorativa; solo così avrebbero un grosso stimolo. Invece pretendiamo  che frequentino perché è scuola dell’obbligo, senza dare loro l’opportunità e il giusto stimolo alla professione che hanno scelto di fare. Il rifiuto, o l’indifferenza, la vogliamo noi, e così usiamo violenza psicologica senza  soffermarsi ad ascoltare le esigenze dei nostri figli, che proprio in questa fase così critica dovranno gettare le basi del proprio futuro e nel loro piccolo hanno i loro modi di pensare e di agire. Impariamo ad ascoltare di più le loro esigenze, magari è un modo di stimolarli per la loro crescita. Solo attraverso l’ascolto possiamo capire i loro disagi, solo così possiamo davvero aiutarli, altrimenti avremo risultati peggiori, creando grossi problemi alle famiglie che non sanno più come gestire tali situazioni. Purtroppo, non tutti si nasce con la dote dello studio, ma non per questo non si può diventare delle grandi persone. Diamo la possibilità di crescere anche a chi ha doti di praticità. La mia nonna diceva: “Con la forza non si fa nemmeno l’aceto”. Io quest’anno ho lottato con tutte le mie forze e tanto sacrificio, usando tutte le strategie possibili, con le buone e con le cattive, per fargli capire che lo studio è una cosa importante che è alla base del proprio futuro e senza di esso non ci sono molte opportunità lavorative. Purtroppo funziona così, non è una scelta ma un obbligo, ma il giusto stimolo deve arrivare anche dalla scuola, altrimenti tutto il da fare non serve a niente, anzi si arriva al rifiuto totale. La mattina Luca partiva per andare a scuola ma in realtà non ci andava, ero disperata e tutte le sere era la stessa romanzina, non sapevo più come prenderlo. Lui rimaneva sempre molto remissivo, come se mi volesse chiedere scusa… ma era più forte di lui… Quando una sera dopo l’ennesima romanzina gli dissi. “Ti rendi conto di sbagliare? Almeno abbi il coraggio di esprimere quello che senti!” Lui mi espose di nuovo i suoi pensieri, dicendomi che si rendeva conto di sbagliare nei nostri confronti, è che la scuola che aveva scelto gli piaceva, voleva soltanto più pratica e meno studio. Quella sera ripensai a tutto ciò che aveva detto. Ma perché devo imporre una cosa a mio figlio, quando comunque è un ragazzo in gamba, educato, rispettoso e anche per tanti versi responsabile. Ha solo poca voglia di studiare ma tanta di imparare, io lo vedo  in casa, mi aiuta a preparare la cena, apparecchia e poi fa delle crepes favolose; perché devo fargli violenza psicologica, non lo trovo giusto. Ascoltandoli possiamo ottenere di più e con il giusto canale, che in questo caso è  la scuola, potremmo stimolare le loro potenzialità, questa è l’età giusta per incoraggiarli. Io sono qui a scrivere questa lettera, per chiedere che le scuole professionali diano la possibilità di crescere anche a questi ragazzi stimolandoli attraverso la pratica, inserendo più ore di laboratorio, magari tre giorni di teoria e tre di pratica, fin dal primo anno, anzi è proprio qui che andrebbero aiutati di più e poi chissà. Magari, anche chi ha meno voglia prende un andamento diverso, altrimenti sono anni persi, soldi persi e comunque disagi per le famiglie. Diamo la possibilità a questi ragazzi di crescere e di farsi un futuro e non di perdere due anni della loro vita. Solo così potremmo ottenere di più. Diamogli i mezzi per accrescere le loro potenzialità anche pratiche. Ringrazio per l’attenzione.

giovedì 19 marzo 2015

LO STILE EDUCATIVO PATERNO: UN RECUPERO NECESSARIO

La festa del papà può anche essere utile se induce a una riflessione sul ruolo del padre. Per esempio a partire da un bel libro del 2006, ma ancora disponibile, dello psicoterapeuta Osvaldo Poli: Cuore di papà (sottotitolo Il modo maschile di educare). Un testo importante per i genitori, ma anche per gli insegnanti e per tutti gli educatori, soprattutto in una cultura, come la nostra, maternalizzata all’eccesso, in cui cioè si tende a utilizzare in modo quasi esclusivo lo stile educativo materno, legato alla cura e alla protezione, e a evitare sempre e comunque ai figli l’incontro con prove, difficoltà, limiti, sofferenze, con il risultato di renderli fragili. Lo stile paterno tende invece a mettere i figli di fronte alla realtà. Usa un linguaggio più diretto e franco, è meno disposto ad abbassare gli ostacoli, sopporta meglio la paura di far soffrire i figli quando è necessario dire la verità o spingerli ad affrontare le difficoltà oppure ad assumersi le loro responsabilità.
Poli fonda la sua riflessione “sul presupposto antropologico che esista un’originaria diversità, che caratterizza l’uomo e la donna sul piano fisico, psicologico e spirituale; e che le differenze di genere non siano riconducibili ad una sovrastruttura culturale, dal cui potere di condizionamento sia desiderabile e possibile liberarsi”. Ma avverte anche che “gli stili educativi paterno e materno sono presenti solo in termini di prevalenza nei papà e nelle mamme concreti, ed è certo che molte madri si riconosceranno maggiormente nel profilo qui indicato come maschile più che in quello femminile”. Facendosi “contaminare” dalle rispettive sensibilità, i genitori possono costruire una cultura educativa di coppia, in cui i due stili educativi, entrambi necessari, si completano e si armonizzano.
Naturalmente la riflessione è estremamente utile anche per la scuola, il cui primo gradino non a caso si chiamava “scuola materna”, ma che, in quanto ha il compito di introdurre nel mondo le nuove generazioni, non può assolutamente permettersi di trascurare il codice paterno; come purtroppo colpevolmente sta facendo da decenni. (GR)

mercoledì 11 marzo 2015

FARAONE SULLE OCCUPAZIONI? È STATO EQUIVOCATO...

(Da "TuttoscuolaFOCUS") ___ È la sottosegretaria ai Beni culturali Francesca Barracciu a rispondere, in commissione Cultura della Camera, a una interrogazione di Forza Italia - a prima firma Antonio Palmieri - sulle dichiarazioni rilasciate dal sottosegretario all'Istruzione Davide Faraone ad un quotidiano nazionale sulle occupazione e le autogestioni.
"In via preliminare occorre precisare che si parte da un equivoco interpretativo di quella che è stata un'opinione circa il fenomeno delle occupazioni", ha premesso Barracciu, e in ogni caso "nell'articolo in questione è stata riferita un'esperienza personale che, in quanto tale, non dovrebbe essere sottoposta a giudizio e soprattutto non dovrebbe essere presa ad esempio per generiche strumentalizzazioni".
Tra le affermazioni riportate nell’interrogazione Palmieri aveva ricordato che “Faraone ha sostenuto che le occupazioni e le autogestioni scolastiche sono 'esperienze di grande partecipazione democratica' e che 'in alcuni casi sono più formative di ore passate in classe'”.
Il sottosegretario ha osservato che “le occupazioni e le autogestioni possano rappresentare anche occasioni formative nella misura in cui si traducano in momenti di confronto e di ascolto. Infatti simili contesti possono porre gli studenti in una situazione in cui sono chiamati a prendere posizione, e spesso è proprio questo che viene rimproverato ai giovani: non prendere decisioni e non assumersi responsabilità".
Lo stesso Faraone, ricorda Barracciu, ha peraltro ribadito che le occupazioni sono comunque illegali, asserendo che chi intende fare lezioni deve essere libero di farlo e soprattutto ha stigmatizzato ogni tipo di violenza e vandalismo perché “’La scuola è un bene comune: chi lo deturpa o - peggio - lo vandalizza si esclude dal confronto e merita solo la punizione più severa prevista dalle nostre leggi'".
Dunque per Barracciu "le affermazioni rilasciate, nel loro insieme, secondo le intenzioni del sottosegretario, intendevano principalmente sollevare, in sostanza, una questione fondamentale: gli studenti sono persone in grado di pensare, proporre, scegliere e organizzare iniziative, come dimostrano le esperienze positive di molte scuole che hanno realizzato autogestioni e cogestioni. Il loro protagonismo deve essere rispettato e promosso e in tal senso la scuola è chiamata a costruire contesti in cui la capacità di discutere e di creare le basi per un confronto venga sperimentata ed esercitata in concreto, nel rispetto delle regole democratiche e delle persone".  (6 marzo 2105)