martedì 18 settembre 2012

SCUOLA, SOGNO DI FINE ESTATE, di Rosario Salamone

Avevamo pensato di scrivere qualcosa sull'apertura dell'anno scolastico e uno di noi ci aveva anche provato, rimanendo però alla fine poco convinto di ciò che aveva scritto. Infatti raccontare e salutare il giorno del rientro tra i banchi è uno degli esercizi più difficili a cui può sottoporsi chi si occupa di scuola. Saro Salamone, per molti anni preside del Liceo Visconti di Roma, lo ha fatto benissimo, toccando anche temi come l’importanza dei riti e il ruolo della scuola come agente di un primo distacco dalla madre. [Dal "Corriere della Sera/Roma" del 16 settembre 2012].

Mentre l' abbronzatura si chiazza delle prime spellature e un po' di sabbia è ancora rimasta nei sandali, comincia il primo giorno di scuola. Veramente lo start della campanella suona nella Capitale in giorni diversi. Peccato, i riti d' iniziazione dovrebbero coincidere per tutti. L' editore del capolavoro di De Amicis mandò in libreria Cuore il 17 ottobre, giorno d' avvio della Scuola in tutta Italia. Altri tempi, altri stili, lontani anni luce dal presente. E meno male, direbbe qualcuno. Restiamo dell' avviso che la scansione dei tempi, le ore e i giorni del tempo scuola, abbiano un valore simbolico incisivo e determinante nel processo di formazione collettiva e individuale dei nostri studenti. Ci sembra deplorevole indurre disinvoltamente nella percezione sociale di uno studente una sorta di «jet lag», un senso di disincronia, come quando si torna in aereo da un lontano continente. Si comincia insieme, si termina insieme, è sempre stato così per tante generazioni di studenti. Semmai sarebbe auspicabile augurare agli studenti un sogno di fine estate ad occhi aperti nel primo giorno di scuola. A bruciapelo, senza neppure il preambolo dell' appello, ascoltare il docente di Italiano che ti versa nell' anima quel passo «straniato», teneramente folle, di Mark Strand, il grande poeta americano. La storia di quel moccioso di anni quattro che dice al padre intento ad allacciarsi le scarpe «Le mie traduzioni di Palazzeschi vanno male». Pensate alle facce stralunate e incredule degli studenti mentre ascoltano e si fanno sedurre da una storia ai limiti della realtà. Chi sarà mai questo mostriciattolo fuggito dalla scuola materna che traduce niente meno che quello stravagante di Palazzeschi, per di più dall' italiano in inglese? Dentro ci sono gli ingredienti di quella follia che è insegnare, il lavoro borderline per eccellenza, un' impresa epica in un mondo che non sa più dove l' epica stia di casa. Certo, servirebbe che gli studenti, entrati in aula, non fossero gravati dalla tiritera di sempre. Prof che mancano, banchi lillipuziani per adolescenti alti come corazzieri, strutture inadeguate e spazi angusti. E il nostro piccolo traduttore che faccia farà mentre osserva i suoi compagni in lacrime con tutte quelle mamme che stringono le loro manine per il rito dell' inserimento? La procedura antishock della moderna psicopedagogia dell' età evolutiva che si esalta nel gioco accorato del «ti lascio ma sono qui». La scuola è il luogo della separazione, del moltiplicarsi dei poligoni affettivi e cognitivi. Certi passaggi non possono essere attenuati o, peggio, resi una caricatura rispetto alla dignità di un bambino, qualità che possiedono innata e profonda. Intanto la passione educativa si è disposta su due sponde opposte. Tablet sì, tablet no. Vedremo. Intanto il ragazzino di quattro anni prova ad utilizzare sull' Ipad il traduttore automatico e si mette a piangere.
Rosario Salamone