mercoledì 18 luglio 2012

DRAMMATICAMENTE URGENTE UNA SVOLTA A FAVORE DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE

Ogni anno in questo periodo i giornali tornano ad occuparsi della formazione professionale in virtù dei dati che annualmente la CGIA di Mestre (associazione degli artigiani e delle piccole imprese) rende pubblici e che confermano una volta di più che decine e decine di migliaia di posti di lavoro non potranno essere coperti perché mancano giovani preparati a farlo. Paradossalmente questa situazione caratterizza anche un periodo contrassegnato dalla più grave crisi economica dal dopoguerra ad oggi. Ancora una volta non ci resta che constatare come nessuno tra i responsabili della politica scolastica, sia regionale che nazionale, esprima una qualsiasi riflessione sull’opportunità di cambiare qualcosa nel sistema della formazione professionale.
Sul “Corriere della sera” di lunedì 16 luglio si potevano leggere in merito ben due articoli su un problema destinato ad aggravarsi se qualcuno non si decide a prendere decisioni rapide e lontane dallo spirito che ha dettato a molte regioni la politica relativa alla formazione professionale. Come ho scritto più volte, una certa pedagogia di stampo social populista, che ha trovato salde sponde nella gran parte dei politici che a livello locale e nazionale si sono occupati e si occupano di scuola, ha pensato che fosse giusto estendere a tutti gli indirizzi di studio un’impronta liceale. Secondo questa impostazione, solo con quel tipo di formazione saremo in grado di fornire ai futuri cittadini senso critico, autonomia nelle scelte e opportunità per rendere il loro futuro migliore rispetto a quello dei loro padri. Chi ha sostenuto questa macroscopica sciocchezza  (che corrisponde anche alle paure storiche di certa nostra piccola borghesia, timorosa di dover tornare ad essere “gente meccanica”) spesso si è richiamato al pensiero di don Milani, ignorando, tuttavia, che proprio la scuola di Barbiana, salvo l’ultimissimo periodo in cui si pensò che qualche allievo sarebbe potuto diventare maestro elementare, era una scuola professionale e i suoi allievi venivano avvicinati alle professioni fin da piccoli, anche perché i mestieri, l’arte che si cela dentro e dietro essi, si imparano ben prima dei vent’anni e magari ben prima di aver fallito altri percorsi.
Ma il danno è stato fatto ed è purtroppo destinato a durare a lungo, perché l’aver cancellato quasi del tutto la nostra straordinaria tradizione dei mestieri ha contribuito a consolidare nell’opinione pubblica il concetto che i lavori artigianali e manuali sono destinati agli sfigati, ai buoni a nulla e ai falliti. Quando si parla di successo formativo s’intende sempre ed inequivocabilmente un successo da conquistare dietro i banchi di scuola e non, per esempio, dietro i banchi di un laboratorio artigianale.
La Regione toscana, al pari di altre regioni italiane, ha deciso di far adempiere l’obbligo scolastico esclusivamente all’interno del canale dell’istruzione, riservando solo ai pluriripetenti che abbiano compiuto i sedici anni la possibilità frequentare corsi professionalizzanti per allievi in situazione di drop-out, peraltro a numero chiuso vista la scarsezza dei fondi. Ovviamente una scelta del genere squalifica ancora di più le professioni storiche della nostra tradizione e della nostra economia. Di per sé, a farci quasi vergognare dei lavori manuali aveva già ampiamente contribuito il contesto storico-sociale che ci accompagna da qualche decennio e che rapidamente ha portato gran parte delle persone a rincorrere modelli sociali tipici dei parvenu piuttosto che realmente ispirati alle proprie vocazioni.
Durante il recentissimo esame di stato, avevo incaricato la segreteria del mio Istituto di inviare una lettera ai ragazzi pluriripetenti e respinti anche agli scrutini di giugno, per avvisarli che potevano iscriversi, appunto, ad uno dei corsi professionali della Regione che partiranno dal prossimo settembre. In questo modo i ragazzi in questione potrebbero acquisire una qualifica professionale e, dopo due anni, entrare in un percorso lavorativo o, in alternativa, rientrare nel canale dell’istruzione. Al mio rientro dall’esame, le impiegate mi hanno detto che alcuni genitori avevano telefonato indignati, ritenendosi offesi per la lettera che, secondo loro, certificava come la scuola ritenesse scarsamente intelligenti i loro figli e quindi inadatti a un percorso scolastico finalizzato al diploma quinquennale di Istituto professionale. Un percorso che, sia detto tra noi, in parte viene scelto perché ritenuto più semplice rispetto ai tecnici e ai licei, al fine di conseguire un diploma di scuola superiore. Non a caso, malgrado ogni anno dagli istituti alberghieri esca un numero molto alto di diplomati, sappiamo che moltissimi di loro, dopo il diploma, fanno scelte del tutto diverse rispetto all’indirizzo seguito. Infatti i settori della ristorazione e dell’ospitalità alberghiera sono tra quelli che hanno il maggior numero di occupati stranieri e malgrado ciò i posti disponibili a livello nazionale sono ancora decine di migliaia.
Pur essendo in linea di massima d’accordo con chi sostiene che le disuguaglianze sociali sono ancora oggi in gran parte responsabili delle disuguaglianze scolastiche, ci aspetteremmo nel frattempo che dei politici veri, cioè attenti alla realtà effettuale della storia e della società, prendessero atto della drammaticità di una situazione che vede nelle prime e nelle seconde classi dei professionali tassi altissimi di dispersione scolastiche. Chi ha a cuore il futuro dei ragazzi deve ad ogni costo essere consapevole che nulla è più diseducativo dell’accanimento nei confronti di giovani che vorrebbero altri risultati e altra formazione che non quella che li porta ineluttabilmente alla bocciatura e alla frustrazione; una frustrazione a cui reagiscono come possono, magari trasformando le aule in sale giochi, angoli di giardino pubblico o in siparietti degni della peggiore televisione (che purtroppo essi conoscono assai bene), a danno non solo di se stessi, ma anche dei compagni e dei docenti.
L’ ultimo numero di Scuola Democratica si apre con una interessante intervista a Francois Dubet, all’interno della quale compaiono dei riferimenti anche alla formazione professionale. Dubet, tra l’altro, mette in risalto, come fa anche il Corriere, la bontà del sistema professionale tedesco rispetto a quello francese. Il primo permette a chi perde “la partita scolastica” di “vincere la partita professionale”, mentre in Francia “chi perde la partita scolastica, ha perso tutte le partite…”. Esattamente come avviene nella maggior parte delle regioni italiane.
Ecco, a noi piace pensare che i ragazzi abbiano diritto di non perdere tutte le partite e che possano sperare di cambiare in meglio il loro futuro anche attraverso una seria formazione professionale, talmente seria da poter garantire vere e proprie eccellenze anche attraverso corsi di alta formazione professionale post-diploma.
Non è con l’attuale sistema ingessato e assistenziale (ah, come piace in Italia sentirsi, piuttosto che esserlo, dei buoni) che possiamo sperare di veder crescere il numero dei ragazzi contenti delle proprie scelte e fiduciosi nel loro futuro. Mi sembra davvero opportuno condividere con Dubet la consapevolezza che più “si diversificano i giochi (e più) la gente perderà di meno e non saranno sempre gli stessi a perdere né gli stessi a vincere”. (Valerio Vagnoli)