mercoledì 23 dicembre 2009

QUALE EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA?

di Marcello Ostinelli

Nelle scorse settimane si è sviluppata sulle pagine culturali di alcuni quotidiani italiani una vivace discussione sulla legittimità e sulla validità dell’educazione civica nella scuola pubblica. Essa è stata occasionata dalla decisione del ministero italiano della pubblica istruzione di introdurre in tutti i curricoli scolastici, dalla scuola dell’infanzia alle scuole secondarie di secondo grado (come i licei), un insegnamento obbligatorio di un’ora settimanale di “Cittadinanza e Costituzione”.
A scatenare la polemica è stato un intervento di Ernesto Galli della Loggia che, sulle pagine del “Corriere della Sera”, ha accusato il progetto ministeriale di voler trasformare la democrazia in un catechismo, fornendo per giunta un’ulteriore spinta verso il declino dell’istituzione scolastica, che è costretta vieppiù a diventare una “insignificante agenzia di socializzazione”, “dedita alla prescrittiva somministrazione diretta di tavole di valori, meccanicamente desunte da un dover essere civico-ideologico”. Mettendo “l’Educazione al posto dell’Istruzione, l’Ideologia al posto della Cultura”, vi sarebbero “le premesse per uno Stato etico”, ha concluso Galli della Loggia. Gli hanno fatto eco altri commentatori, più o meno autorevoli, ma quasi tutti schierati sulle stesse posizioni. Carlo Lottieri ha sostenuto, sulle pagine de “Il Giornale”, che “l’idea d’introdurre un corso che insegni i valori della Costituzione e faccia tutti consapevoli dei diritti e doveri di cittadinanza ha ben poco di liberale”, tanto che, secondo lui, non sarebbe fuori luogo considerare l’ora di educazione alla cittadinanza come “l’ora di religione di quanti non credono più in Dio, ma nello Stato”. Susanna Tamaro, dal canto suo, si è spinta ancora più in là, affermando senz’alcuna riserva che la Costituzione non è un testo rilevante nella formazione della persona e vantandosi per giunta di non conoscerla, anzi “di non averla mai letta”.
Non interessa qui ovviamente discutere la proposta dell’attuale ministro italiano della pubblica istruzione. Giova invece riprendere quegli aspetti della discussione che sono rilevanti anche per chi dal progetto ministeriale italiano non è toccato e che riguardano, come già si diceva, la legittimità e la validità dell’educazione alla cittadinanza nella scuola pubblica di uno Stato democratico.
Va detto anzitutto che sotto l’etichetta di educazione della cittadinanza ci possono stare cose molto diverse. Non è difficile capire che ciò che un tempo veniva designata istruzione civica (o anche, più semplicemente, civica) un posto di diritto nell’educazione alla cittadinanza ce l’abbia. La conoscenza delle istituzioni politiche fondamentali dello stato, delle loro funzioni e delle loro procedure, dei principi dello Stato di diritto sono ovviamente un elemento essenziale della formazione del cittadino. Di certo, se di questo soltanto si trattasse, nessuno avrebbe verosimilmente eccepito contro l’educazione alla cittadinanza; al più avrebbe consigliato al ministro italiano di limitarla alla scuola secondaria. C’è pure chi crede che essa consista anche di ciò che nella lingua di Voltaire si dicono le civilités, vale a dire la creanza, le buone maniere, il rispetto delle regole di convivenza, indispensabili a scuola come in ogni altro momento della vita associata. Anche su questo c’è poco da dire, a parte il fatto che le civilités interessano l’attività didattica di ogni disciplina, dalla lingua materna all’educazione fisica. Oltre alla civica e alle civilités nell’educazione alla cittadinanza c’è tuttavia ben altro, per l’appunto ciò che ha scatenato il coro dei suoi oppositori italiani: l’educazione ai valori democratici, quei valori che sono a fondamento della convivenza civile in una società pluralistica e multiculturale.
Ha ragione chi ritiene che l’educazione ai valori della cittadinanza democratica apra la strada al “catechismo di Stato”?
In verità l’obiezione di Galli della Loggia e di Lottieri non è nuova e di per sé potrebbe valere per qualsiasi finalità educativa della scuola pubblica. Quale sia l’estensione del compito educativo che la società assegna alla scuola pubblica (che, è bene non dimenticarlo, è scuola di tutti), c’è sempre il rischio che esso interferisca arbitrariamente nelle credenze dei cittadini. In effetti il compito educativo della scuola pubblica di uno Stato democratico dev’essere compatibile con il diritto (non assoluto) dei genitori di educare i figli secondo le loro convinzioni religiose o filosofiche (purché esse siano ragionevoli). L’educazione del futuro cittadino che si compie a scuola deve rispettarle. Quando fosse così, il contenuto dell’educazione alla cittadinanza non potrà essere giudicato settario o fazioso. Esso trova infatti la sua giustificazione in quei valori politici comuni che ogni persona ragionevole è in grado di riconoscere come condizione necessaria della convivenza civile di cittadini liberi ed eguali. Nella misura in cui non si estende oltre, l’educazione alla cittadinanza è legittima; se invece va oltre, essa arrischia di compiere quel passo verso lo Stato etico, paventato da Galli della Loggia.
Può sembrare un’ovvietà. A chi la pensasse così, si dovrebbe ricordare che in una società pluralistica e multiculturale che voglia prendere sul serio i diritti delle minoranze, molte cose che ai più sembrano ovvie non lo sono necessariamente per altri. Quel che è certo è che la convivenza civile di persone libere ed eguali non si riduce ad un mero modus vivendi, in cui gli individui perseguono i loro scopi egoistici senza alcuna considerazione di quelli degli altri; ed è pure altra cosa da uno Stato etico, che invece nega agli individui il diritto di realizzare nelle loro vita la concezione del bene a cui vorrebbero aderire.
Tra questi due estremi si colloca lo spazio legittimo entro cui la scuola pubblica opera per l’educazione del futuro cittadino democratico. L’impresa non è scontata: ogni futuro membro della società deve infatti riconoscere sulla base delle proprie ragioni la validità dei principi che regolano la convivenza civile di persone libere ed eguali. L’esercizio richiede la capacità di distinguere il diverso ruolo che le convinzioni personali ed i valori politici comuni svolgono nella giustificazione della struttura fondamentale della società. Occorre imparare ad integrare questi valori fondamentali della convivenza civile nelle diverse concezioni del bene delle persone e ciascuno lo deve poter fare sulla base delle proprie giuste ragioni. Non è un’impresa facile: qualcosa dovrà cambiare, probabilmente, nei contenuti delle diverse concezioni del bene dei cittadini; nessuno potrà illudersi che quest’aggiustamento non lo riguardi e l’onere debba essere sopportato soltanto dagli altri (magari soltanto da qualche minoranza stigmatizzata). Questa è una lezione che molti Stati democratici hanno appreso durante la loro storia e che anche uno Stato come la Svizzera, di antiche tradizioni democratiche, fondato su un nobile ideale di convivenza civile di religioni e lingue diverse, sarà tenuto a trarre dopo la recente votazione federale sull’iniziativa popolare contro l’edificazione di minareti. Nulla di nuovo, per la verità: qualcosa di simile è già accaduto nella storia recente del nostro paese con l’interdizione dei gesuiti che venne introdotta dopo la guerra del Sonderbund e che ebbe termine ufficialmente nel 1973 con l’abrogazione in votazione popolare degli articoli d’eccezione.
Il 2005 venne proclamato dal Consiglio d’Europa “Année européenne de la citoyenneté par l’éducation” con lo slogan “Apprendre et vivre la démocratie”. L’idea che ispirava questa meritevole iniziativa europea era che democratici non si nasce; lo si diventa conoscendo, praticando ed apprezzando i principi della democrazia e dello Stato di diritto, in un processo di deliberazione in cui si impara a confrontare e a ponderare le ragioni proprie con quelle degli altri, riconoscendo i valori politici che ci accomunano e rispettando le differenze religiose e culturali che ci distinguono. Insomma, diventare un cittadino democratico è l’esatto contrario di quanto ha sostenuto Susanna Tamaro, che crede che sui problemi della convivenza civile sia sufficiente affidarsi “a quella voce dentro di te che ti dice quello che è giusto e quello che è sbagliato”…

Marcello Ostinelli